Pochi prodotti al mondo possono vantare una progenitura così certa come la grappa. E’ sufficiente guardarsi un pò intorno: prendiamo ad esempio il mondo del whisk(e)y. Esiste il whisky scozzese, irlandese, americano (bourbon), il whiskey canadese ma anche spagnolo, tedesco e perfino giapponese. Sicuramente ne avremo dimenticati tanti altri. La grappa no, quando parliamo di grappa, si intende legalmente un distillato di vinacce italiane distillate all’interno del territorio italiano di gradazione alcolica non inferiore al 38,5%, con la sola eccezione delle grappe prodotte in Svizzera ma nel solo Canton Ticino. Possiamo sostenere senza tema di smentite che la grappa sia autenticamente ed esclusivamente un prodotto italiano. Chi siano però i reali inventori della grappa in Italia è impossibile stabilirlo con certezza e l’opinione dipende dalla provenienza del nostro interlocutore. Se parlate con un piemontese vi citerà documenti storici che parlano di graspa che precedono di qualche tempo quelli veneti che – a onor del vero- usavano già esplicitamente il termine “grappa”. Anche dal punto di vista toponomastico, il Veneto vanta un assoluto primato. Cosa vi suggerisce il nome del paese Bassano? …Del Grappa, ovviamente! Sicuramente la tradizione di distillare la vinaccia si consolida nella nostra penisola durante il medioevo e in modo particolare nel territorio del nord Italia per divenire una vera e propria industria solo con l’avvento della colona di distillazione , introdotta nel settore tra fine del ‘800 e l’inizio del ‘900. Prima di diventare “impresa” la grappa è una strettamente storia povera e popolare. Le vinacce, parte meno nobile e povera, scarto della vinificazione, erano cedute ai braccianti, alla servitù. Gli utilizzi di questo “scarto” erano due. Si poteva fare un vino molto (ma molto) annacquato oppure si poteva procedere ad una rudimentale distillazione. Gli alambicchi, discontinui e a fuoco diretto, producevano liquidi sgraziati che andavano ridistillati più e più volte per arrivare ad una gradazione importante, ammesso e non concesso lo si volesse fare. A fine ‘700 e per parte dell’800 alcuni grapat usavano lasciare le loro case, durante il periodo invernale dove il lavoro dei campi era fermo e giravano le zone a tradizione vinicola con il loro alambicco portatile, offrendo i loro servigi
di mastri distillatori ai contadini meno esperti e meno attrezzati. Uno di loro, partito dalla Valtellina, arriverà in Piemonte e deciderà di non fare più ritorno, stabilendosi strategicamente tra Langa e Monferrato, nel paese di Neive (CN). Di cognome faceva Levi. Per secoli prodotto povero e popolare, subirà una vera e propria industrializzazione a cavallo del ‘900 e per tutto il boom industriale del dopoguerra. La sua rinascita come distillato nobile è un percorso di recupero delle tradizioni, ma anche di coraggio e lungimiranza di quei grappaioli che, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, cominciarono a pensare alla qualità e non alle quantità prodotte. Produrre una grappa di qualità al giorno d’oggi e il frutto di scelte precise che partono dalla materia prima ma – soprattutto – dalle scelte del mastro distillatore in fatto di alambicchi, tempi di distillazione della vinaccia e dell’affinamento nei legni. Il rinascimento delle grappe, infatti, passa anche da questo passaggio in botte. Non più prodotto povero e sgraziato al palato ma nobilitato dall’invecchiamento che – a differenza di molti altri distillati – sopporta per periodi anche molto lunghi.
- da Pellegrini spirits corner 4 – Davide Monorchio
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